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Ana Mendieta

Articolo di Vincenza Vario

Era una calda serata di ottobre del mio primo anno di università a Venezia quando decisi di assistere alla mia prima Performance Art Week. Fino ad ora per me questo universo gestuale così complesso si riduceva a diapositive di Marina Abramovich e Ulay, immagini che scorrevano nella mia mente con una piccola scarica elettrica di eccitazione, paura e curiosità. Palazzo Mora sembrava un parco giochi, ogni stanza c’era qualcuno facendo qualcosa di diverso e totalmente fuori dell’ordinario, il parco giochi perfetto e grottesco per i miei occhi vergini. Sarebbe divertente poter tornare indietro per poter fotografarmi di spalle osservando per la prima volta il lavoro di Ana Mendieta, risentire le pupille dilatarsi per lo stupore ed il calore del sangue che scorre rapido nelle orecchie. Non vi era un gran numero di opere, tutt’altro, una selezione estremamente ridotta ad alcuni frammenti di immagini eppure stretta nel mio vestito rosso e ballando leggermente con la musica balcanica nelle cuffie, tornando a casa in tutto il panorama visivo, non potevo togliermi dalla testa nè il suo nome nè la sua arte.

Ana era entrata in circolo nel mio sangue.

 

Ana Mendieta era stata una bambina con una vita molto complicata. A dodici anni, assieme alla sorella, aveva sperimentato la dura vita della rifugiata politica lasciando i volti rassicuranti e stanchi dei cubani per iniziare una vita di stenti negli Stati Uniti; passando tra una casa famiglia e l’altra, tra una chiesa e l’altra, aveva iniziato il proprio viaggio nella “terra dei sogni”.

Negli anni ‘60 studia pittura presso l’università dell’Iowa però dopo aver conseguito due titoli accademici, decide di iniziare una ricerca verso un’arte “più autentica”.

in questo processo entra in campo una relazione con la natura in cui il proprio corpo si avvicina ad elementi come la terra, l’acqua, il fuoco ed il sangue, cui risultato lo vediamo nella serie di fotografie e video “Silouette” in cui incide nella natura la propria impronta fisica.

Nel 1973 realizza una delle opere che la consacreranno nel panorama femminista dell’arte contemporanea: “Untitled” (Rape scene); lavoro di denuncia sociale contro l’omertà istituzionale dell’università conseguente allo stupro ed omicidio di una studentessa. Ana è nella sua stanza del dormitorio, piegata sulla scrivania con il sedere e le gambe riverse di sangue mentre lei è immobile e legata.

A partire dagli anni ‘70 vediamo emergere nelle sue performance alcune delle tematiche che l’accompagneranno fino alla sua morte: il femminismo, il contatto con la natura e la ricerca dell’identità, aumentando la connessione tra corpo e terra e prendendo ispirazione dalla tradizione religiosa latino-africana, involucrando elementi di Santeria.

Mendieta cerca di unire spesso nelle sue opere la tradizione artistica nordamericana con le proprie radici cubane obbligandosi al ruolo di ponte tra le due culture – un’identità transculturale.

Nel 1983 vince la prestigiosa borsa di studio dell’Accademia statunitense di belle arti a Roma, in cui rimarca la componente scultorea delle proprie opere ispirata dall’ambiente e dalle rovine della città. Nel 1985 durante gli ultimi giorni romani, sposa l’artista minimalista Carl Andre con cui aveva iniziato una relazione notoriamente tossica qualche anno prima.

Durante lo stesso anno Ana precipita – morendo sul colpo – dall’appartamento situato nel trentaquattresimo piano dell’edificio in cui viveva con Andre.

Tutt’oggi l’assassinio di Mendieta rimane un mistero, negli anni il marito è stato più volte imputato come colpevole ma sempre scagionato nonostante i numerosi indizi a che lo vedono come omicida.

 

Ana Mendieta è stata un’artista cui valori e ricerche individuali sono state capaci di avere un valore universale, i messaggi di connessione con la terra, femminismo ed identità sono arrivati come onde a generazioni e generazioni di donne. L’innovazione artistica prodotta nelle opere di Mendieta, una nuova visione del corpo e dello spazio hanno lasciano un solco nella storia dell’arte contemporanea che molte artiste dopo di lei adotteranno nei propri discorsi.

Mendieta è stata un’artista rivoluzionaria, rossa, fluida e mistica come il sangue.

 

di Vincenza Vario

It was a warm October evening of my first year of university in Venice when I decided to attend my first Performance Art Week. Until that event, for me the complex gestural universe was reduced to slides by Marina Abramovich and Ulay, images that flowed through my mind with a small electric discharge of excitement, fear and curiosity. Palazzo Mora looked like a playground, each room was someone doing something different and totally out of the ordinary, the perfect and grotesque playground for my virgin eyes. It would be fun to be able to go back and photograph myself from behind while observing the work of Ana Mendieta for the first time, to feel the pupils dilate for the amazement and the warmth of the blood flowing rapidly in the ears. There was not a large number of works, far from it, an extremely reduced selection to a few fragments of images yet tight in my red dress and dancing lightly with Balkan music in the headphones, returning home across the visual landscape, I could not take off from the head neither her name nor her art.

Ana had entered my bloodstream.

Ana Mendieta had been a child with a very complicated life, with twelve years together with her sister she had experienced the hard life of the political refugee leaving the reassuring and tired faces of the Cubans to start a life of hardship in the United States; passing from one family home to another, between one church and another, she had begun her journey in the “land of dreams”.

In the 1960s she studied painting at the University of Iowa, but after earning two academic degrees, she decided to start a search for a “more authentic” art.

In this process a relationship with nature comes into play in which one’s body approaches elements such as earth, water, fire and blood, the result of which we see in the series of photographs and videos “Silouette” in which she engraves in nature her own physical imprint.

In 1973 she created one of the works that will consecrate her in the feminist panorama of contemporary art: “Untitled” (Rape scene); work of social denunciation against the institutional silence of the university following the rape and murder of a student. Ana is in her dorm room, bent over the desk with her butt and legs covered in blood as she is motionless and tied up.

Starting from the 1970s, we see some of the themes that will accompany her until her death emerge in her performances: feminism, contact with nature and the search for identity, increasing the connection between body and earth and taking inspiration from tradition. Latin-African religious, encompassing elements of Santeria.

Mendieta often tries to combine the North American artistic tradition with her Cuban roots in her works by forcing herself to be a bridge between the two cultures – a transcultural identity. In 1983 she won the prestigious scholarship from the US Academy of Fine Arts in Rome, which highlights the sculptural component of her works inspired by the environment and the ruins of the city.

In 1985, during the last days in Rome, she married the minimalist artist Carl Andre with whom she had started a notoriously toxic relationship a few years earlier.

During the same year Ana falls – dying instantly – from the apartment located on the thirty-fourth floor of the building where she lived with Andre.

Even today, Mendieta’s murder remains a mystery, over the years her husband has been accused several times as guilty but always exonerated despite the numerous clues that see him as a murderer.

Ana Mendieta was an artist whose individual values ​​and research have a universal capacity, the messages of connection with the earth, feminism and identity have come as waves to generations and generations of women. The artistic innovation produced in Mendieta’s works, a new vision of the body and space have left a groove in the history of contemporary art that many artists after her will adopt in their speeches.

Mendieta was a revolutionary artist, red, fluid and mystical like blood.

by Vincenza Vario

https://www.instagram.com/p/CSzA-irjvqa/

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